Esperienza e Teologia - Rivista di approfondimento teologico e pastorale dello Studio Teologico San Zeno e dell' Istituto Superiore di Scienze Religiose San Pietro Martire di Verona


Numero 21

Luglio - Dicembre 2005
Il Vaticano II e la sua recezione

 

 

 


INTRODUZIONE


A quarant’anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II

 

di Andrea Gaino


(full text)



 

L’8 dicembre 1965 si celebrava in piazza San Pietro la solenne conclusione del Concilio ecumenico Vaticano II. Sono dunque passati quarant’anni da quell’evento che ha segnato decisamente e profondamente la vita della Chiesa e ne delinea ancora il cammino. Tale ricorrenza costituisce ulteriore occasione per fare memoria di questo evento di Chiesa e per riflettere intorno alla ricezione che di esso si è avuta.

Il Concilio è stato e resta un grande dono dello Spirito, una «novella Pentecoste» come ebbe a definirlo papa Giovanni XXIII, riferimento imprescindibile per comprendere il volto della Chiesa in cui viviamo ed evento così ricco di implicazioni da lasciar intendere che ancora non ne abbiamo maturato a pieno le implicazioni e continuiamo a vivere il tempo della sua ricezione.

Non è casuale che ogni evento di Chiesa da allora si richiami a quanto è avvenuto nel Concilio e si presenti sempre in continuità con esso. Così è per il cammino della Chiesa universale e per le indicazioni magisteriali che lo guidano, come pure per i piani pastorali della Chiesa italiana e ancora per il percorso compiuto dalle diverse Chiesa locali. Dopo il Vaticano II nessuno può esonerarsi dall’avere una posizione chiara rispetto a quello che Giovanni Paolo II ha definito «l’evento di grazia del XX secolo» e che nel suo testamento ha indicato come l’orizzonte di futuro di una generazione nuova, che il concilio non l’ha celebrato, ma che può leggerne le nervature alla luce di una esperienza che è tutta postconciliare; proprio a questa generazione il papa affida il compito testamentario di dare attuazione a un così grande patrimonio. E in chiara continuità con il suo predecessore anche Benedetto XVI nel primo messaggio a conclusione della celebrazione eucaristica con i cardinali elettori ha voluto richiamarsi esplicitamente al Concilio per delineare il compito che attende il suo ministero. Ricordando che proprio nell’anno dell’inizio del suo pontificato ricorre il quarantesimo anniversario della conclusione dell’assise conciliare ha affermato la «decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del Concilio Vaticano II» riconoscendo che «col passare degli anni, i documenti conciliari non hanno perso di attualità; i loro insegnamenti si rivelano anzi particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente società globalizzata».

La riflessione sulla ricezione del Vaticano II ha una storia lunga quanto la distanza che ci separa da quell’assise e le ricorrenze anniversarie sono sempre state occasione per fare il punto della situazione su tale processo. Merita in particolare ricordare il sinodo straordinario dei vescovi celebrato nel 1985 in occasione del ventesimo anno dalla conclusione del Concilio; e ancora il Congresso teologico tenutosi nel duemila in Vaticano, che ha messo a tema la ricezione del Vaticano II alla luce del giubileo.

Queste diverse ricorrenze hanno consentito di mettere bene a fuoco le questioni che riguardano il processo di ricezione del Concilio, in particolare quella concernente la corretta ermeneutica di quell’evento. La rilettura che di esso viene fatta manifesta tendenze differenti che vanno a sottolineare ora la continuità rispetto a quanto lo precede, ora la novità che lo contraddistingue. Merita anche a tele riguardo riprendere una affermazione di Benedetto XVI che invita a mantenere un «equilibrio ermeneutico» nella ricezione del Vaticano II, cogliendo gli elementi di discontinuità e di continuità non in contrapposizione, ma in armonia, ciascuno nel suo proprio ambito e non in conflitto. Ulteriormente, la riflessione sulla ricezione incontra la domanda circa il rapporto tra “lettera” e “spirito” del Concilio, che porta a chiedere se la ricezione riguardi anzitutto o solamente i testi conciliari o più complessivamente l’evento vissuto che va al di là dei documenti stessi.

Non vogliamo qui riprendere il dibattito attorno a queste ampie questioni, peraltro già ben dibattute, tuttavia ci sembra che comprendere il Concilio in senso ampio come evento di Chiesa apra lo spazio per la riflessione sulla sua ricezione che coinvolge molteplici soggetti. Accanto alla competenza teologica e al servizio del Magistero che curano l’approfondimento teologico di quanto i documenti ci hanno consegnato e la loro corretta interpretazione, resta lo spazio per andare a vedere come la ricezione dell’evento conciliare sia maturata dentro la prassi ecclesiale. A tale riguardo merita particolare attenzione la prassi effettiva delle chiese locali. L’attenzione a quanto in esse è avvenuto per impulso del Concilio consente di mettere a fuoco aspetti significativi della ricezione di tale evento, accanto e oltre la necessaria riflessione che concerne l’ermeneutica teologica e la riflessione magisteriale sui testi.

Gli studi che qui presentiamo vogliono essere un parziale contributo a questo processo. Essi fanno memoria del Concilio e ne evidenziano il percorso di ricezione focalizzando l’attenzione a quanto è avvenuto in una chiesa locale, quella di Verona.

Nel primo contributo, ripreso da una conferenza tenuta presso gli Istituti Teologici della diocesi, Giacomo Canobbio delinea il quadro ampio di questo processo di ricezione con particolare attenzione a come si presenta nel nostro oggi. I due studi successivi mettono quindi a fuoco il cammino di chiesa vissuto a Verona proprio su impulso del Vaticano II: Augusto Barbi rilegge la vita della diocesi di San Zeno evidenziando come il Concilio ha segnato la trama dei progetti pastorali diocesani e del ministero dei Vescovi che da allora ad oggi hanno guidato la chiesa veronese; Ezio Falavegna presenta uno studio su un tema particolare, ma chiaramente emblematico per dire la ricezione del Concilio, qual è la centralità della Parola di Dio nella vita e nell’azione pastorale della chiesa locale.

Vuole essere anche questo nostro studio un contributo a mantenere viva l’attenzione su un dono grande dello Spirito e a impegnare le nostre risorse affinché venga custodito e possa portare frutto per la chiesa e in senso più ampio per l’uomo d’oggi. Quanto infatti lo Spirito ha suggerito attraverso il Concilio resta come patrimonio per l’umanità intera come ebbe bene a sottolineare Paolo VI nel suo discorso a conclusione di quell’assise, discorso che rievoca in modo chiaro ed emblematico l’intenzione che accompagnò i padri conciliari nei loro lavori e il frutto che lo Spirito seppe trarre da quell’impegno: «tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità. La Chiesa si è quasi dichiarata l’ancella dell’umanità, proprio nel momento in cui maggiore splendore e maggiore vigore hanno assunto, mediante la solennità conciliare, sia il suo magistero ecclesiastico, sia il suo pastorale governo […] Ma chi bene osserva questo prevalente interesse del Concilio per i valori umani e temporali non può negare che tale interesse è dovuto al carattere pastorale, che il Concilio ha scelto quasi programma, e dovrà riconoscere che quello stesso interesse non è mai disgiunto dall’interesse religioso più autentico, sia per la carità, che unicamente lo ispira (e dove è la carità, ivi è Dio!), e sia per il collegamento, dal Concilio sempre affermato e promosso, dei valori umani e temporali, con quelli propriamente spirituali, religiosi ed eterni: sull’uomo e sulla terra si piega, ma al regno di Dio si solleva».

 

 

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