La gratuità non è soltanto uno
degli atteggiamenti, magari tra i principali, della vita
cristiana, ma è quello che la sintetizza a livello più
profondo. Non è solo un sentimento rna un modo di
essere, il piú maturo, il piú simile a quello di Dio
Padre e di Gesù.
Ricordiamo alcuni motivi che danno
fondamento a questa affermazione. Dio ha creato il mondo
senza mirare ad un suo vantaggio, ma all’unico scopo
di diffondere la sua bontà luminosa. Cristo lo ha
salvato rinunciando ad ogni suo vantaggio, annientando
se stesso, usando solidarietà agli uomini mentre questi
gli erano ancora ostili.
Infine l'unico atteggiamento
possibile nella realtà celeste, quella definitiva, non
è forse quello di amare e lodare, cioè vivere un amore
disinteressato, sgorgante da una generosità pura? Ciò
che vale per sempre, deve essere determinante anche nel
tempo.
L'amore puro (1)
è stato l’obiettivo dei santi. Possiamo
verificarlo dando uno sguardo alla figura di san
Francesco, protagonista di una vicenda contrassegnata
dalla "follia" della carità. Anche in lui la
gratuità, più che un nobilissimo sentimento, è la
sintesi della sua vita. Ciò viene richiamato in modo
visibile dalle stesse stimmate. Se la croce è il segno
piú manifesto di amore disinteressato (e quale altro
segno potrebbe essercene di più grande?), allora anche
le stimmate di Francesco manifestano che tutto i1 suo
essere è stato caratterizzato dal desiderio dì
diventare amore puro. Tale carisma non è stato
considerato dagli antichi biografi del santo come un
dono estemporaneo, ma come un segno indicativo di uno
stile di vita. Lo precisa, ad esempio, Umbertino da
Casale: "[…] si trasformava continuamente con
tanta singolarità d'amore nel Cristo crocifisso, che
meritò di essere configurato non solo nella mente ma
anche nel corpo all'immagine del Crocifisso" (2).
Vivere un amore disponibile a tutto,
totalmente staccato dalla ricerca del proprio vantaggio:
questo atteggiamento ha caratterizzato tutta l'esistenza
del santo d'Assisi. "Ripieno dello spirito di Dio
era pronto ad affrontare qualsiasi angustia di spirito,
qualsiasi tormento nel corpo, a patto che gli fosse
concesso quanto bramava: che si compisse in lui
totalmente la volontà del Padre celeste" (3).
È naturale, allora, che egli abbia
fatto propri, per sé e poi raccomandati al suoi
compagni, gli atteggiamenti che traducono la gratuità
cristiana. Vuole essere "servo inutile" (4),
cioè agire senza cercare un compenso; vivere libero dal
giudizio altrui (così pesante nel primo periodo della
sua conversione); non lasciarsi condizionare
dall’insuccesso ma agire esclusivamente per la gloria
di Dio. Testimonia ancora Tommaso da Celano:
"Diceva che è cosa buona assumersi il governo
degli altri, ma sosteneva che dovevano addossarsi la
cura delle anime solo quelli che in quell'ufficio non
cercano nulla per sé, ma guardano sempre in tutto al
volere divino" (5).
Il discepolo non deve cercare il prestigio, ma piuttosto
imparare ad amare il disprezzo e la fatica. Esprime
gratuità autentica anche la rinuncia a cercare un campo
di apostolato gratificante mentre ci si dispone ad
affrontare le situazíoni più difficili. Questo è
quanto egli suggeriva al suoi frati i quali
"amavano talmente la pazienza, che preferivano
stare dove c'era da soffrire persecuzioni che non dove,
essendo nota la loro santità, potevano godere il favore
del mondo". L'apostolato non può ridursi ad una
forma di ricerca di sé ma ha senso solo come necessità
derivante dall'aver fatta propria la carità di Cristo:
"Gli mordeva le viscere lo zelo della salvezza
eterna, al punto che non si riteneva amico di Cristo, se
non incendiava d'amore le anime da lui redente" (6).
Il cuore della gratuità francescana
lo possiamo cogliere nella preghiera "absorbeat"
uscita dal cuore di Francesco:
"Rapisca, ti prego. o Signore,
l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da
tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia
per amore dell'amor tuo, come tu ti sei degnato morire
per amore dell'amor mio" (7).
All’amore totalmente gratuito, anzi
"folle", mostrato da Cristo, si desidera
corrispondere con un sentimento identico. Il centro
dell’uomo (la "mente" può essere assorbita
da questa "follia" che dona senso a tutto,
perché l'amore ha soltanto in sé il motivo del proprio
esistere. La gratitudine si esprime come
l’atteggiamento di chi riconosce di esistere in forza
del dono continuo che viene da Dio. Questo non
disimpegna dalla storia, al contrario permette di
liberare le energie migliori perché non le consuma
nell'affannosa ricerca di accaparrarsi il sostentamento
in una vicenda umana che appare come insostenibile gara
di sopravvivenza. Chi si sente amato da Dio vive la
gratitudine a lui mostrando come la propria esistenza è
trasparenza della stessa logica.
Proprio in questo consiste la nostra
esistenza cristiana, per cui la nostra testimonianza
della salvezza, realizzata da Gesù e disponibile a
tutti, diventa effettiva nella misura in cui a nostra
volta sappiamo assumere le condizioni concrete che
viviamo, con il limite e le possibilità che comportano,
come luogo in cui possiamo fare dono della nostra vita.
La fede che ci è donata ci permette
di vivere in pienezza e dinamicamente le situazioni di
difficoltà e sofferenza che segnano il nostro cammino,
senza cercare rifugio nella fuga o nella rassegnazione
passiva: proprio la vita dei santi costituisce la
dimostrazione concreta di questa potenzialità
rigeneratrice dell'amore gratuito, anche laddove
prevalgono i segni del dolore e della fatica di Vivere.
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