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Dialogo: strategia, cedimento o esigenza della fede?
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di Giovanni Girardi
 (full text)
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Diverse accezioni di "verità" guidano corrispettive valutazioni del "dialogo". Se una comprensione statica e quasi
oggettuale della verità lo elide o tutt'al più lo rende strumentale, la figura biblica della verità, al contrario, lo alimenta
(1).
Un concetto relazionale di verità mostra infatti affinità con il "discorso (lógos) tra (diá)" persone.
A sua volta, la parola "dialogo", francamente un po' logora, non è esente da critica, né priva di equivocità: se da una parte catalizza il sospetto di veicolare un proselitismo travestito, di fatto inefficace, dall'altra subisce l'accusa di abdicare alla chiarezza della verità,
neutralizzando le esigenze del Vangelo in nome di un arrendevole accomodamento alla cultura e al costume di volta in volta dominante.
In effetti, salvo restando il rispetto della libertà e dignità della persona, non sembra agevole delineare correttamente (cioè senza cadere nel tanto deplorato proselitismo), l'irrinunciabile assetto missionario della fede cristiana, orientata all'annuncio del Vangelo e al
conseguente appello alla conversione (quindi senza sconti sulla verità)
(2).
È più facile, infatti, risolversi nella pratica "schizofrenica" di un'attenzione dialogica autorelativizzante verso l'esterno della Chiesa, mantenendo invece, al suo interno, una pretesa
veritativa incapace di universalizzazione. Si finisce per pensare che dialogare in ambito extraecclesiale richieda una sospensione del proprio presupposto di fede, un mettere "tra parentesi" la fede,
quando invece si professa, in ambito intraecclesiale, la persuasione del possesso certo di una verità, che non si è però in grado di comunicare al di fuori, ma tutt'al più di rinfacciare. In ultima analisi la
"fede" si riduce alla "buona fede", della quale si deve far credito a tutti, sul tacito presupposto (di ciascuno) che sia la propria "buona fede" a coincidere con la "fede
buona". L'esito infelice di tale precomprensione è, del resto, immediatamente intuibile, data la naturale convergenza di questa riconduzione della "fede" alla "buona fede" con la legittimazione della competizione conflittuale
(3).
Così, a 33 anni dall'Ecclesiam suam, in un momento in cui relativismi e assolutismi segnano pesantemente la vicenda umana, mentre l'orizzonte culturale si profila marcatamente pluralistico
(4), la tematizzazione del dialogo sembra ancora costituire una urgenza per la riflessione ecclesiale
(5), la quale trova in esso la logica, tutt'altro che ingenua, che scaturisce dalla sua stessa identità
(6).
Per concorrere ad una più adeguata sintesi, capace di disegnare l'identità cristiana senza lasciarla catturare entro un insostenibile esclusivismo, abbiamo fatto oggetto della seconda giornata
interdisciplinare di quest'anno di attività dell'"Istituto Superiore di Scienze Religiose" la tematica del dialogo.
Il termine "dialogo" incrocia l'esperienza personale ad una pluralità di livelli. Con esso si intende sia un atteggiamento fondamentale di accoglienza e rispetto dell'alterità,
sia la corrispondente prassi di comunicazione e collaborazione, sia l'effettivo dibattito imperniato sul contenuto del colloquio e sulle sue formulazioni. Le stesse motivazioni che lo animano si diversificano,
fluttuando dalla strategia alla tattica e dalla necessità alla convinzione. Anche gli ostacoli che lo rendono impervio vanno dal livello psicologico (disfunzioni e rigidità), a quello noetico (pregiudizi ed errori), a quello etico (indisponibilità e avversione).
I suoi fondamenti teologici, ben presto almeno sommariamente identificati in senso trinitario, cristologico e pneumatologico
(7), risultano istruttivi non solo in ordine alla giustificazione e alle motivazioni del dialogo, ma anche
in merito all'identificazione delle sue coordinate, del suo rapporto intrinseco con la proclamazione del Vangelo.
L'interrelazione trinitaria consente di riconoscere che il dialogo non costituisce un ripiego indotto da una "parziale" conoscenza della verità: la luminosa pienezza della comprensione/amore trinitario, infatti, non rende superfluo il dialogo, bensì lo avvalora e lo arricchisce dell'inesauribilità della relazione
(8).
L'incarnazione del Verbo riconduce, invece, al livello storico
(9),specifico della questione della verità, che qui si intreccia con la problematica delle sue formulazioni e corrispettive interpretazioni
(10), la quale esige a livello antropologico una ridefinizione del rapporto della persona con la verità. L'assunzione dell'umanità da parte del Figlio di Dio non soppianta, ma consente il "dialogo" tra Dio e gli uomini costituendone il presupposto imprescindibile
(11).
L'elaborazione di questa seconda prospettiva teologica può venir oggi completata e ricentrata in riferimento al mistero pasquale, nucleo genetico della fede cristologica. Recuperando di questo evento la forza critica deassolutizzante rispetto ai sistemi religiosi e politici totalitari, si risolve alla radice l'accusa di intolleranza e fanatismo, che grava talora sulla religione "rivelata"
(12).
Simultaneamente, mostrandone la capacità di realizzare l'assoluta verità dell'amore incondizionato di Dio, si risolve il problema del relativismo e dell'irenismo dimissionari, che frustrano il dialogo. Infine, riguadagnando la sua qualità di estrema testimonianza di questo stesso amore, si supera il livello,
apparentemente obiettivo ma di fatto riduttivo, della verità positivistico-scientifica, per la quale non si dà la vita se non come atto insano
(13).
Oltre a tutto ciò, la relazione del Figlio per sempre uomo col Padre, trascendente quella stessa di Gesù risorto con i discepoli, è in grado di fondare la relazione non solo di questi, ma di ogni uomo con l'unico Dio. Così si apre coerentemente l'accesso al terzo pilastro dei fondamenti del dialogo.
Il dono pasquale dello Spirito del Risorto introduce alla possibilità dell'universalizzazione del fondamento cristologico
(14), costituito inclusivo e non esclusivo rispetto agli elementi di verità ovunque diffusi, dai quali l'azione
ecclesiale della testimonianza e missione non viene scoraggiata e vanificata, ma anticipata e motivata
(15).
Il senso della presenza della Chiesa consiste, infatti, nella disponibilità a prendersi cura della rivelazione nella forma della testimonianza dell'unica salvezza offerta a tutti.
Uscito dalla verifica teologica giustificato non propriamente in quanto strategicamente vincente o difensivamente rinunciatario, ma precisamente come rispondente al carattere peculiare della fede cristiana, che vede in Gesù il testimone della verità
(16) e non l'uccisore o il fanatico in nome di essa, il "dialogo" acquisisce in questa stessa verifica
la sua dignità più piena: essendo relazione in atto, esso esprime una modalità della relazione inesauribile dei soggetti umani tra loro e con Dio, in riferimento permanente ad una verità non requisibile, che, lungi dal sopprimerlo, al contrario lo suscita
(17).
Solo l'assolutezza della verità che "il Dio è Agápê" (1Gv 4,16), la quale esige non meno che la persuasa adesione della libertà, impegna in una testimonianza universalmente aperta, che, tanto si distanzia dal settarismo intransigente, quanto si assume la fedeltà alla realtà di Dio, di se stessi, dell'altro, amico o avversario.
Con fiducia consegniamo al lettore queste pagine, frutto del confronto e dello scambio tra docenti e studenti, nella convinzione di offrire un efficace contributo alla risignificazione e alla rimotivazione della testimonianza del Vangelo nello stile del dialogo (18).
Certamente non affrontiamo la questione sotto tutti i profili e nemmeno in tutti i risvolti di ciascun approccio. Confidiamo, tuttavia, che l'inevitabile delimitazione, imposta dal contenimento del lavoro in uno spazio ragionevole, abbia consentito la proficua messa a tema di alcuni frammenti di "esperienza e teologia" sufficientemente illuminanti rispetto all'intero complesso della problematica.
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NOTE
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(1) "[...] secondo la Scrittura la verità è proprio la rivelazione, cioè la rivelazione storica e progressiva del disegno salvifico di Dio, che culmina in Gesù Cristo" (I. de la Potterie, Verità, in Dizionario di Teologia Fondamentale, a cura di R. Latourelle - R. Fisichella, Cittadella Editrice, Assisi 1990, 1450).
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(2) Su questo punto può risultare interessante l'accostamento della proposta di P. A. Sequeri, Assolutezza e relatività del cristianesimo: universalità della fede che salva e particolarità storica della testimonianza, in Cristianesimo e religione ( = Disputatio 4), Glossa, Milano 1992, 135-168.
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(3) Emblematica la posizione di E. Severino, Eco e Martini "figli di vecchie fedi", in Liberal 12 (1996) 17: "[...] ogni etica può essere soltanto buona fede, cioè può essere soltanto fede, che non può avere più verità di ogni altra buona fede. E il disaccordo tra le diverse fedi può risolversi soltanto attraverso uno scontro, dove l'unico senso possibile della verità è la
capacità pratica di una fede di imporsi sulle altre. [...] Le forme violente dello scontro pratico possono essere differite dalla perpetuazione del compromesso. Ma in questo modo il dialogo e l'accordo sono un equivoco, perché se la verità non esiste è soltanto una congettura l'esistenza di un terreno e di un contenuto comune, di una dimensione universale, che sia identica nelle diverse fedi in contrasto (e che è a sua volta un immutabile, ossia qualcosa che rende impossibile il divenire del mondo)".
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(4) Cfr. J. Ratzinger, Relativismo problema della fede, in Il Regno. Documenti 1 (1997) 51-56.
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(5) I riferimenti, anche limitandosi ai documenti autorevoli pur di differente livello, sono amplissimi; bastano pertanto alcuni cenni a testi recenti significativi di facile reperimento: Giovanni Paolo II, Euntes in mundum (1988), nn. 9-11, in EV 11, 147-154; Redemptoris missio (1990), n. 39, 55-57; Pastores dabo vobis (1992), n. 18, in EV 13, 1245; Inde a pontificatus (1993), in EV 13, 2157-2168; Tertio millennio adveniente
(1994), nn. 34-35, 45-46, 51-53, 56; Ut unum sint (1995), nn. 28-39. Sinodo dei Vescovi, Ut testes simus Christi qui nos liberavit (1991), nn.7-9, in EV 13, 647-658. Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso - Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Dialogo e annuncio (1991), in EV 13, 287-386. Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Le giovani chiese (1989), n. 18, in EV 11, 2582-2583. Congregazione per l'educazione cattolica, In questi ultimi decenni (1988), n.10, 56, in EV 11, 1923, 2008. Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, Direttorio per l'applicazione dei principi e delle norme
sull'ecumenismo (1993), in EV 13, 2323-2329; 2455-2467; 2495-2496. Pontificia Commissione delle comunicazioni sociali, Aetatis novae (1992), n. 8, in EV 13, 1027-1030. Commissione Teologica Internazionale, Fede e inculturazione (1988), nn. 11-13, in EV 11, 1406-1408; Il cristianesimo e le religioni, in Il Regno. Documenti 3 (1997) 75-89. Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, La chiesa nel pluralismo, in Il Regno. Documenti 21 (1996) 679-692. Riconciliazione dono di Dio e sorgente di vita nuova. Documento di lavoro per l'assemblea di Graz 1997, in Il Regno. Documenti 21 (1996) 693-708 (spec. nn. 24-62).
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(6) "Il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza da parte nostra, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora la sorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere. Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a questa stessa vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella
vera pace" (GS 92). Sullo stile di dialogo come espressione dell'identità cristiana matura, cfr. anche la Nota pastorale del Segretariato per l'ecumenismo e il dialogo, La formazione ecumenica nella Chiesa particolare, III, 1, in Enchiridion CEI 4, 2215-2216. Si può estendere la lettura a M. Dhavamony, Evangelizzazione e dialogo nel Vaticano II e nel Sinodo del 1974, in Vaticano II: bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), II, a cura di R. Latourelle, Cittadella Editrice, Assisi 1987, 1217-1233; J. Dupuis, Dialogo interreligioso nella missione evangelizzatrice della Chiesa, in Vaticano II: bilancio e prospettive..., 1234-1256. Un saggio
del risvolto dell'acquisizione su una disciplina teologica particolarmente sensibile è offerto da M. Chappin, Dalla difesa al dialogo. L'insegnamento della teologia Fondamentale alla PUG, 1930-1988, in Gesù rivelatore. Teologia fondamentale, a cura di R. Fisichella, Piemme, Casale Monferrato 1988, 33-45. A ulteriore riprova del reale interesse del credente per il dialogo, non sempre condiviso dall'interlocutore, e perciò da assumere in tutto il suo dinamismo di appello, cfr. B. Groth, Dal monologo al dialogo con i non-credenti o la difficile ricerca di interlocutori, in Vaticano II: bilancio e prospettive..., II, 1257-1269.
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(7) Cfr. L. Sartori, Il dialogo, metodo della Chiesa del Vaticano II, in Credereoggi 13 (1983) 59-72. P. Rossano, Il dialogo, intima vocazione della cultura cristiana, Morcelliana, Brescia 1977.
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(8) "La fede cristiana ci ricorda che l'unione fraterna fra gli uomini (fine primario di ogni comunicazione) trova la sua fonte e quasi un modello nell'altissimo mistero dell'eterna comunione trinitaria del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, uniti in un'unica vita divina" (Pontificia commissione per le comunicazioni sociali, Communio et progressio, n.8, in EV 4, 788).
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(9) "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato [exêgêsato]" (Gv 1,18).
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(10) "Le parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell'eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si fece simile agli uomini" (DV 13). Cfr. Commissione Teologica Internazionale, L'unità della fede e il pluralismo teologico, in EV 4, 1801-1815; L'interpretazione dei dogmi, in EV 11, 2717-2811.
Congregazione per la dottrina della fede, Mysterium Ecclesiae, in EV 4, 2564-2589 (spec. n. 5). Per allargare la riflessione sul versante filosofico e teologico, cfr. C. Guerrieri, Elementi di fondazione del rapporto tra dialogo e verità. Riflessioni a partire dal pensiero di L. Pareyson, in Ricerche Teologiche 1 (1994) 103-123; J. Alfaro, La teologia di fronte al magistero, in Problemi e prospettive di teologia fondamentale, a cura di R. Latourelle - G. O'Collins, Queriniana, Brescia 19822, 413-432.
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(11) "Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (Cfr. Col 1, 15; 1 Tim. 1, 17) nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (Cfr. Es. 33, 11; Gv. 15, 14-15) e si intrattiene con essi (Cfr. Bar. 3, 38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé" (DV 2).
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(12) Una coscienza lucida di questa persuasione relativamente a Cristo e ai suoi Apostoli è rintracciabile in DH 11.
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(13) Cfr. R. Guardini, Fede - Religione - Esperienza. Saggi teologici, Morcelliana, Brescia 1984, specialmente la prima parte: "La fede nella riflessione".
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(14) "Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito" (Gv 3,8).
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(15) "Tutto ciò che di verità e di grazia era già riscontrabile, per una nascosta presenza di Dio, in mezzo alle genti, essa [la Chiesa] lo purifica dalle scorie del male e lo restituisce al suo autore, Cristo, che rovescia il regno del demonio ed allontana la multiforme malizia del peccato" (AG 9; cfr. anche i "germi del Verbo" in AG 11).
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(16) È il significato pregnante del martirio, estremo gesto di dialogo in situazione di non accoglienza: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza [martyrêsô] alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Gv 18,37). Nel dialogo la fede stessa si arricchisce e si purifica: cfr. J. Dupuis, Dialogo interreligioso, in Dizionario di Teologia Fondamentale, 316.
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(17) Sulla falsa alternativa tra identità e dialogo risolta alla luce del vangelo della carità, cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali dell'Episcopato italiano per gli anni '90, n. 32, in Enchiridion CEI 4, 2753-2754.
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(18) "Come Cristo stesso scrutò il cuore degli uomini e li portò alla luce divina attraverso un colloquio veramente umano, così i suoi discepoli, profondamente animati dallo Spirito di Cristo, devono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e paziente affinché conoscano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ma nello stesso tempo devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo, di liberarle e di riferirle al dominio di Dio salvatore" (AG 11).
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