Sullo sfondo di questo orizzonte si
delinea necessariamente un cammino di maturazione
della fede che può essere così articolato
(si veda: Ufficio catechistico diocesano di Verona. équipe
per la catechesi degli adulti, Abbiamo incontrato Gesù,
EDB, Bologna 21997, 172-174):
Dal bisogno al riconoscersi
radicalmente bisognosi
Quando nella nostra vita incontriamo
il limite nasce il bisogno. Il limite lo sperimentiamo
in molteplici forme (impotenza di fronte a certe
situazioni, sconfitte, sofferenze di diverso genere,
malattia, morte). Di fronte all'esperienza del limite ci
può essere la ribellione, la disperazione, il bisogno
di uscire dal limite e la ricerca di chi può sollevarci
dal limite.
L'esperienza del bisogno di
liberazione dal limite può renderci coscienti che
l'uomo è radicalmente bisognoso. Il bisogno radicale
dell'uomo è che gli sia offerto un senso per cui
vivere, un senso capace di dare un volto nuovo alla sua
vita anche nei momenti di oscurità.
Non sempre la vita è esperienza del
limite. Talora sperimentiamo anche la realizzazione
felice (la riuscita nei nostri impegni, la salute, la
relazione significativa, l'amore, la gioia di vivere).
Anche di queste realtà però avvertiamo la precarietà.
Potrebbero venir meno. Non sono ancora piene. Sentiamo
la nostalgia del di più. Anche in questi momenti
avvertiamo il radicale bisogno di un senso pieno,
stabile, definitivo. Ogni uomo è radicalmente bisognoso
di una pienezza che può e deve attendere.
Dal radicale bisogno al desiderio e
all'incontro
Dalla coscienza del bisogno radicale
di senso nasce il desiderio. Il desiderio è più grande
e più delicato del semplice bisogno. Più grande, perché
spazia più in ampio: non solo abbiamo bisogno di
superare il limite ma desideriamo che la nostra vita sia
appagata più in profondità dalla pace interiore, dalla
pace esteriore, da una forza nuova, da una vita
pienamente significativa. Più delicato, perché è più
sfumato del bisogno: non riusciamo ad esprimerlo
adeguatamente e totalmente, ne affidiamo la
realizzazione a qualcuno che ci sembra abbia già
intuito e vissuto qualcosa di queste realtà.
Il desiderio conduce all'incontro e
chiede di cercare qualcuno che sia portatore del senso e
della realizzazione che noi desideriamo. Lo troviamo
quando avvertiamo "lo stile" di qualcuno come
significativo. Lo "stile" è la trasparenza
umana, in presenza-gesti-segni-parole, di ciò che noi
desideriamo. Talora incontriamo questo "stile"
in persone che stanno accanto a noi. Intuiamo che esse
potrebbero offrirci umanamente ciò che noi cerchiamo.
Il desiderio si apre allora all'incontro.
Se i nostri desideri si aprono alla
supplica e alla preghiera, essi si concentrano in Dio.
Supplichiamo e ci rendiamo disponibili affinché sia Dio
a compiere in noi, con modalità sue, i nostri desideri.
Nell'umanità di Gesù possiamo intuire che questi
desideri profondi sono i desideri stessi di Dio, che già
in lui si compiono. Dallo "stile" di Gesù
intuiamo che a lui possiamo affidare i nostri desideri
perché Lui è capace di realizzarli in noi e per noi.
Nasce così il desiderio di incontrarlo.
L'ascolto di Lui
Nell'incontro è Gesù il primo a
parlarci. La sua Parola ci raggiunge nel suo Vangelo.
Essa ci interpella personalmente e ci sollecita dunque
alla responsabilità di una risposta irrepetibile. Essa
diventa sguardo di amore per ciascuno di noi perché
possiamo sentirci unici di fronte a Lui.
La Parola ci apre orizzonti
insperati, che non sono sempre immediatamente
verificabili. Occorre aprirsi ad essa con fiducia e
persistere nella fiducia anche quando la verifica
dell'esperienza non la convalidi immediatamente. Essa ci
spinge controcorrente rispetto alla mentalità comune,
fondata su ciò che si constata, e ci domanda di essere
forti nella speranza.
La risposta nostra
La Parola mira a suscitare la nostra
parola. È la parola con cui rispondiamo al Vangelo, con
cui comunitariamente riflettiamo sul Vangelo. Questa
parola, una volta pronunciata, stabilisce un rapporto più
profondo con Lui e tra di noi. Essa ci impegna di fronte
a Lui e di fronte alla comunità cristiana. Essa perciò
ci trasforma. Quando l'abbiamo pronunciata non siamo più
come prima. Questa parola si fa preghiera:
l’esperienza più alta della Parola che trasforma la
vita. Essa è rapporto immediato e personale con Gesù
che ci ha parlato. Essa è capace di riassumere, in
forma di invocazione, tutta la nostra vita di fronte a
Lui. Apparentemente inefficiente, la preghiera diventa
il luogo della massima disponibilità e della suprema
trasformazione.
La Parola che realizza
Ci sono Parole che dobbiamo sentirci
dire, che non possiamo dirci da soli: "sei salvato
- sei perdonato - la tua vita è nuova". Dobbiamo
sentircele dire perché realizzano ciò che noi non
possiamo pretendere di realizzare. Queste parole sono
"sacramenti" perché realizzano ciò che
significano, fanno quello che esprimono. È nel
lasciarci coinvolgere da queste parole-segni realizzanti
che la nostra vita assume una nuova identità. È in
questo incontro sacramentale con Cristo che tutto in noi
comincia ad essere trasformato.
Da questi incontri siamo rimandati
alla vita, perché la vita nuova, che in essi si è
significata e realizzata nel segno, trovi spazio nella
nostra esperienza di vita quotidiana. Si tratta di un
rapporto personale molto profondo, espressione di quel
"riconoscere" e "accogliere" che
diventa unità di vita con Gesù stesso, con il suo
destino, con la pienezza del suo essere Figlio di Dio:
un ""rimanere nell’intimo di Dio",
[...] partecipare alla sua stessa vita" (Giovanni
Paolo II, Tertio Millennio Adveniente, n. 8). Di
qui l’impegno affinché "sul modello
insostituibile di Cristo, prenda volto una nuova umanità,
finalmente liberata da ogni schiavitù di menzogna, di
peccato, di violenza e impegnata a costruire la civiltà
dell’amore" (Attilio Nicora, "Gesù
Cristo unico salvatore del mondo, ieri, oggi e
sempre". Con tutta la Chiesa verso il giubileo
dell’anno duemila, Verona, 24 novembre 1996).
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