Esperienza e Teologia - Rivista di approfondimento teologico e pastorale dello Studio Teologico San Zeno e dell' Istituto Superiore di Scienze Religiose San Pietro Martire di Verona


Numero 3

Luglio - Dicembre 1996
«La tua fede ti ha salvato» (Mc 5,34)
La fede battesimale come incontro con Cristo

 

 

Presentazione

Lasciarci generare come figli di Dio
Ezio Falavegna (pp. 5-10)

Introduzione

«Narrare la fede: come e perché». Alcune note di metodo
Luciano Zanini (pp. 11-17)

 

Contributi degli studenti

«Chi dice la gente che io sia?» (Mc 8,27). La fede battesimale nel cristiano adulto oggi
Vittorio Cappozzo (pp. 19-25)

Gesù tra immaginazione e realtà
Alessandro Napponi (pp. 26-28)

 

Contributi dei docenti

Un significativo percorso di fede. L’emorroissa e Gesù (Mc 5,24b-34)
Augusto Barbi (pp. 29-48)

«Il compagno di strada». La XIII catechesi prebattesimale di Cirillo di Gerusalemme
Cristina Simonelli (pp. 49-55)

«Chiunque segue Gesù Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui stesso più uomo» (GS 41)
Giuseppe Laiti (pp. 56-66)

 

Studi complementari

«Accogliere l’intervento creatore dello Spirito di Dio». Alcune considerazioni su Gv 3,3-5
Corrado Ginami (pp. 67-70)

Battesimo e vita nuova in Cristo
Andrea Gaino (pp. 71-78)

«Verso una fede adulta». L’evoluzione spirituale dell’adulto
Enzo Biemmi (pp. 79-90)

 

 

 

 


PRESENTAZIONE

 

Lasciarci generare come figli di Dio

 

di Ezio Falavegna


(full text)



 

Una fede aperta alla realtà di Dio

 

Non è trascorso molto tempo da quando nella liturgia abbiamo sentito risuonare l’annuncio: "In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. [...] Era la vera luce, che illumina ogni uomo venendo nel mondo. [...] Il mondo non lo riconobbe [...] i suoi non lo accolsero [...] A quanti invece l’accolsero, a quelli che credono nel suo nome, diede il potere di divenire figli di Dio" (Gv 1,4.9.10.11.12). L’accoglienza della vita, della luce del Verbo dentro la "carne", divenuta il tabernacolo dell’accoglienza, è il concepimento dei figli di Dio. L’esistenza si fa vita, luce nella misura in cui si rende accogliente della Luce vera.

Si tratta ora di "riconoscere" (v. 10) e di "accogliere" (v.11) Gesù Cristo come il senso e la pienezza di ogni realizzazione della vita umana, come l’azione di Dio salvifica, definitiva e per tutti, in un atteggiamento di profonda solidarietà con l’umanità; si tratta di assumere uno sguardo attento in cui comprendere come "la pienezza del tempo si identifica con il mistero dell’incarnazione del Verbo" (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente, n. 1).

"Riconoscere" in Gesù il rivelatore del Padre vuol dire che ogni suo gesto, parola è trasparenza del Dio invisibile. Questo "riconoscere" non si confonde con lo sforzo della ragione, quasi si trattasse del semplice tentativo dell’uomo di raggiungere Dio, ma è il "riconoscere" della fede, che è preceduta dalle possibilità di Dio che per amore incontra e dona vita all’uomo: una fede che penetra e coglie la realtà profonda del senso della vita che in Gesù stesso si rivela.

Così l’"accogliere" non si ferma a una semplice disponibilità, ma si concretizza in un cammino di sequela, nel gustare in profondità il dono della vicinanza di Dio come intima familiarità, nel ripresentare con la propria esistenza quella pienezza di umanità che, in modo unico e irrepetibile, Gesù Cristo ha realizzato, aperta in tutto e per tutto alla presenza del Padre.

"Riconoscere" e "accogliere": i due termini si condensano in un unico progetto di vita, in un percorso che abbraccia quella sfera di fragilità e di debolezza dentro la quale si svolge l’esistenza degli uomini, e che inizia nel momento stesso in cui la storia trova la sua ragione, non in se stessa ma riferendosi a Dio. Solo "quando il frammento prende coscienza che la luce che ha in sé è il riverbero del sole unico ed eterno, inizia il cammino della sua nascita di figlio di Dio" (G. Vannucci, Risveglio della coscienza, CENS, Milano 21989, 36).

In tale prospettiva il tema della "fede battesimale come incontro con Cristo", oggetto qui di un contributo all’approfondimento da parte di alcuni docenti e studenti dell’Istituto, mentre risponde alla proposta formativa del medesimo, si inserisce nella logica propria del cammino giubilare della Chiesa verso l’anno Duemila.

Il pressante invito, proposto dall’articolazione dei temi propri del triennio (Gesù Cristo - battesimo - fede; lo Spirito Santo - confermazione - speranza; il Padre - riconciliazione - carità), a riscoprire le dimensioni di fondo della nostra identità di credenti, porta necessariamente a comprendere la propria vita in riferimento a Gesù Cristo. È un cammino che sollecita a concentrare la memoria su Gesù Cristo, sulla sua solidarietà con noi celebrata nel battesimo e riconosciuta nella fede. Muovendo dal nostro vissuto si comprende come esso è sollecitato dallo Spirito a rendersi accogliente della Parola di Dio che è Gesù Cristo: una Parola che non ci raggiunge in astratto, ma che si rende riconoscibile attraverso i gesti e le parole umane di Gesù. Così, come è testimoniato dal percorso di fede dell’emorroissa (Mc 5,24b-34), il credere significa "riconoscere" e "accogliere" il dono di Dio nella propria vita.

Di fronte alle condizioni, ai problemi, alle opportunità che la vita ci presenta, accostarsi a Gesù Cristo rimane sempre un "interesse da ridestare", per poter anche oggi riconoscere e accogliere con gioia la novità di vita che Egli realizza nella nostra esistenza; e questo è possibile se in noi vive una disponibilità, un atteggiamento di fiducia e di fede, capace di superare le chiusure o i rigidi schemi attraverso i quali spesso ci difendiamo dalla realtà della vita ma che talora non ci permettono di scorgere ancora oggi, nelle nostre vicende e nella storia degli uomini, la novità dell’agire di Dio.

La realtà di questo incontro si traduce poi in una liberazione, che investe non solo la nostra interiorità, ma la totalità della nostra vita: quel Dio che ci viene incontro in forma umana per liberarci offre la salvezza di tutto l’uomo nella sua globalità, riapre l’uomo chiuso dentro il peccato alla relazione con Lui e con gli altri, consegna quella dignità filiale che da sempre gli appartiene.

Questo cammino diventa autentico quando, a partire dall’esperienza personale dell’incontro col Cristo, mantiene viva l’attenzione al proprio contenuto, all’esperienza originaria da cui la vita battesimale scaturisce, a tal punto da far trasparire la presenza salvifica di Gesù Cristo attraverso l’esperienza della vita, e da consentire così ad altri la ricerca del Signore grazie alla propria testimonianza.

 

Un cammino in cui esprimere in pienezza l’uomo

 

Sullo sfondo di questo orizzonte si delinea necessariamente un cammino di maturazione della fede che può essere così articolato (si veda: Ufficio catechistico diocesano di Verona. équipe per la catechesi degli adulti, Abbiamo incontrato Gesù, EDB, Bologna 21997, 172-174):

 

Dal bisogno al riconoscersi radicalmente bisognosi

Quando nella nostra vita incontriamo il limite nasce il bisogno. Il limite lo sperimentiamo in molteplici forme (impotenza di fronte a certe situazioni, sconfitte, sofferenze di diverso genere, malattia, morte). Di fronte all'esperienza del limite ci può essere la ribellione, la disperazione, il bisogno di uscire dal limite e la ricerca di chi può sollevarci dal limite.

L'esperienza del bisogno di liberazione dal limite può renderci coscienti che l'uomo è radicalmente bisognoso. Il bisogno radicale dell'uomo è che gli sia offerto un senso per cui vivere, un senso capace di dare un volto nuovo alla sua vita anche nei momenti di oscurità.

Non sempre la vita è esperienza del limite. Talora sperimentiamo anche la realizzazione felice (la riuscita nei nostri impegni, la salute, la relazione significativa, l'amore, la gioia di vivere). Anche di queste realtà però avvertiamo la precarietà. Potrebbero venir meno. Non sono ancora piene. Sentiamo la nostalgia del di più. Anche in questi momenti avvertiamo il radicale bisogno di un senso pieno, stabile, definitivo. Ogni uomo è radicalmente bisognoso di una pienezza che può e deve attendere.

 

Dal radicale bisogno al desiderio e all'incontro

Dalla coscienza del bisogno radicale di senso nasce il desiderio. Il desiderio è più grande e più delicato del semplice bisogno. Più grande, perché spazia più in ampio: non solo abbiamo bisogno di superare il limite ma desideriamo che la nostra vita sia appagata più in profondità dalla pace interiore, dalla pace esteriore, da una forza nuova, da una vita pienamente significativa. Più delicato, perché è più sfumato del bisogno: non riusciamo ad esprimerlo adeguatamente e totalmente, ne affidiamo la realizzazione a qualcuno che ci sembra abbia già intuito e vissuto qualcosa di queste realtà.

Il desiderio conduce all'incontro e chiede di cercare qualcuno che sia portatore del senso e della realizzazione che noi desideriamo. Lo troviamo quando avvertiamo "lo stile" di qualcuno come significativo. Lo "stile" è la trasparenza umana, in presenza-gesti-segni-parole, di ciò che noi desideriamo. Talora incontriamo questo "stile" in persone che stanno accanto a noi. Intuiamo che esse potrebbero offrirci umanamente ciò che noi cerchiamo. Il desiderio si apre allora all'incontro.

Se i nostri desideri si aprono alla supplica e alla preghiera, essi si concentrano in Dio. Supplichiamo e ci rendiamo disponibili affinché sia Dio a compiere in noi, con modalità sue, i nostri desideri. Nell'umanità di Gesù possiamo intuire che questi desideri profondi sono i desideri stessi di Dio, che già in lui si compiono. Dallo "stile" di Gesù intuiamo che a lui possiamo affidare i nostri desideri perché Lui è capace di realizzarli in noi e per noi. Nasce così il desiderio di incontrarlo.

 

L'ascolto di Lui

Nell'incontro è Gesù il primo a parlarci. La sua Parola ci raggiunge nel suo Vangelo. Essa ci interpella personalmente e ci sollecita dunque alla responsabilità di una risposta irrepetibile. Essa diventa sguardo di amore per ciascuno di noi perché possiamo sentirci unici di fronte a Lui.

La Parola ci apre orizzonti insperati, che non sono sempre immediatamente verificabili. Occorre aprirsi ad essa con fiducia e persistere nella fiducia anche quando la verifica dell'esperienza non la convalidi immediatamente. Essa ci spinge controcorrente rispetto alla mentalità comune, fondata su ciò che si constata, e ci domanda di essere forti nella speranza.

 

La risposta nostra

La Parola mira a suscitare la nostra parola. È la parola con cui rispondiamo al Vangelo, con cui comunitariamente riflettiamo sul Vangelo. Questa parola, una volta pronunciata, stabilisce un rapporto più profondo con Lui e tra di noi. Essa ci impegna di fronte a Lui e di fronte alla comunità cristiana. Essa perciò ci trasforma. Quando l'abbiamo pronunciata non siamo più come prima. Questa parola si fa preghiera: l’esperienza più alta della Parola che trasforma la vita. Essa è rapporto immediato e personale con Gesù che ci ha parlato. Essa è capace di riassumere, in forma di invocazione, tutta la nostra vita di fronte a Lui. Apparentemente inefficiente, la preghiera diventa il luogo della massima disponibilità e della suprema trasformazione.

 

La Parola che realizza

Ci sono Parole che dobbiamo sentirci dire, che non possiamo dirci da soli: "sei salvato - sei perdonato - la tua vita è nuova". Dobbiamo sentircele dire perché realizzano ciò che noi non possiamo pretendere di realizzare. Queste parole sono "sacramenti" perché realizzano ciò che significano, fanno quello che esprimono. È nel lasciarci coinvolgere da queste parole-segni realizzanti che la nostra vita assume una nuova identità. È in questo incontro sacramentale con Cristo che tutto in noi comincia ad essere trasformato.

Da questi incontri siamo rimandati alla vita, perché la vita nuova, che in essi si è significata e realizzata nel segno, trovi spazio nella nostra esperienza di vita quotidiana. Si tratta di un rapporto personale molto profondo, espressione di quel "riconoscere" e "accogliere" che diventa unità di vita con Gesù stesso, con il suo destino, con la pienezza del suo essere Figlio di Dio: un ""rimanere nell’intimo di Dio", [...] partecipare alla sua stessa vita" (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente, n. 8). Di qui l’impegno affinché "sul modello insostituibile di Cristo, prenda volto una nuova umanità, finalmente liberata da ogni schiavitù di menzogna, di peccato, di violenza e impegnata a costruire la civiltà dell’amore" (Attilio Nicora, "Gesù Cristo unico salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre". Con tutta la Chiesa verso il giubileo dell’anno duemila, Verona, 24 novembre 1996).

 

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